Mutui: fisso o variabile? Gli italiani scartano il CAP

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Prosegue, al punto che ci stiamo convincendo possa non finire mai, l’annosa diatriba tra i sostenitori del mutuo a tasso fisso e i fan delle soluzioni a tasso variabile. Gli ultimi dati, ormai lo sappiamo, confermano l’esistenza di due valori (Euribor per il variabile, EuroIRS o più semplicemente IRS per l’indicizzazione dei mutui a tasso fisso) ai minimi storici eppure molto distanti tra di loro, diciamo duecento punti base a vantaggio della prima ipotesi indicata tra parentesi. I mutui a tasso variabile, insomma, costano di meno, in un caso “medio” circa 150 euro di rata in meno rispetto ai “fratelli” del fisso; ferme restando, per ipotesi, le condizioni attuali, significa un risparmio di 1.500 euro all’anno, anche di più.

Eppure, nonostante ciò, sono in molti tra i nuovi titolari di mutuo ad aver scelto, specie negli ultimi mesi, le soluzioni a tasso fisso. Un comportamento irrazionale solo in apparenza, dal momento che i mutuatari sembrano intenzionati a scommettere su una ripresa dei tassi di interesse e quindi su un revival dell’Euribor, che trascinerebbe verso l’alto il costo dei mutui a tasso variabile. Ecco perché si predilige, circa sei contratti su 10 già lo hanno fatto, la stipula di un finanziamento a tasso fisso per l’acquisto dell’abitazione di proprietà.

Chi un mutuo già ce l’ha, e magari lo ha stipulato prima del 2008, prova a rinegoziarlo con la banca che glielo ha erogato alla ricerca di condizioni più vantaggiose (il tasso variabile, ora al 2%, è stato su livelli anche vicini al 7%) oppure si risolve a trasferirlo qualora l’istituto che glielo erogò rimanga sordo alle richieste di cui poco sopra. Il mercato indica anche che i mutui a tasso variabile con CAP, fino a qualche mese addietro tra i più gettonati dalla clientela, ora riguardano solo il 10-15% del totale delle erogazioni; gli operatori suppongono che questo sia accaduto perché chi cerca delle garanzie sceglie il fisso.